di Michael Braun
Pubblicato in Germania il 26 ottobre 2011su Taz.de
Traduzione di Claudia Marruccelli per ItaliaDallEstero
Intervista con lo storico Paul Ginsborg
La sinistra italiana ha avuto finora difficoltà a contrastare Berlusconi. Lo storico Paul Ginsborg parla delle mancanze dell’opposizione e del futuro dell’Italia.
Taz: Signor Ginsborg, il suo libro dal titolo “Salviamo l’Italia” (Einaudi, 2010), dà l’immagine di un paese sull’orlo del baratro. Ma la situazione è davvero così drammatica?
Paul Ginsborg: Non era mia intenzione dare un’immagine catastrofica. Diversamente da altri libri che sono stati messi in commercio ultimamente, il mio è un libro pieno di proposte, in fondo quasi pieno di speranza. E’ un libro che va controcorrente, così come ho scritto nella prefazione, contro tutti amici e critici che pensano che l’Italia sia già rovinata. In un certo senso ne ho abbastanza di quelli che si lamentano solo del destino del paese. Io cerco soluzioni possibili, senza negare la profonda crisi.
Declino e decadenza sono due parole chiave, che ricorrono quando sempre negli ultimi anni si discute dell’Italia. Ed un’altra è ovviamente Berlusconi. Che rapporto c’è tra loro?
Il declino è indiscutibile, ed io assolutamente non parlo solo di economia. Altri criteri sono “la bella vita” e le regole, la condizione morale dell’Italia. Purtroppo il declino morale ed economico vanno di pari passo. Prima di parlare di Berlusconi occorre tener presente che i partiti di centro sinistra negli anni del loro governo (come nel periodo dal 1996 al 2001) si sono giocati in maniera decisiva la loro occasione. Si sono lasciati sfuggire di investire nelle scuole e nelle università, cioè di investire nel futuro. In qualità di docente da 22 anni io dico: in questo campo siamo di fronte ad un disastro.
E Berlusconi?
È un altro aspetto della crisi, una persona con uno sguardo alla politica, che ha ben poco a che fare con la democrazia, moltissimo invece con altre vecchie abitudini italiane tra cui il clientelismo, il nepotismo, lo scarso rispetto per le leggi. Anche l’idea che possa risolvere i problemi personali grazie a decine di leggi “ad personam”.
Paul Ginsborg |
Nel suo libro lei parla talvolta persino di „dittatura“, di „tirannia“. Non è un po’ esagerato?
No, credo che in Italia siamo arrivati a questo livello. La tirannia esprime quello che Berlusconi vuole: dominare concedendo all’opposizione un limitatissimo margine di libertà. Il fedele amico di Berlusconi e presidente della sua holding, Fedele Confalonieri, lo dichiarò molto apertamente già nel 1994, quando Berlusconi entrò in politica: Berlusconi non è un democratico, ma un “despota illuminato”. L’Italia è solo formalmente democratica. Io posso acquistare i giornali dell’opposizione, posso andare a votare. Ma qual è il contesto generale? Quanto conta una pagina di un giornale dell’opposizione contro il controllo di Berlusconi su sette canali televisivi? Gli sterminati mezzi finanziari di Berlusconi dimostrano che le elezioni non sono più “libere, oneste e regolari.
Ma persino acuti critici non possono smentire che l’Italia è ancora lontana da una chiara dittatura?
E’ grazie prima di tutto ai movimenti dell’opposizione – anche a qualche artista ed intellettuale che si sono opposti – se il progetto di Berlusconi non è stato ancora portato a termine. Però purtroppo dobbiamo registrare del cinismo e della passività da parte della massa degli intellettuali italiani. Almeno nel 2002 Nanni Moretti aveva già espresso la sua opinione, però quanti registi si sono comportati come lui? Grazie a Dio si è unito anche Claudio Abbado, ma quanti musicisti ed attori di teatro hanno fatto sentire la propria voce da allora? L’Italia ha giudici e pubblici ministeri coraggiosi. Sono questi che dobbiamo ringraziare, se il dispotismo di Berlusconi resta per così dire ai box di partenza e non si è ancora trasformato in un cavallo sfrenato.
Ma com’è che un politico scandaloso come Berlusconi viene sempre rieletto?
Questo è un punto che tratto nel mio libro. In un paese, in cui la piccola imprenditoria è fortemente presente, Berlusconi rappresenta l’uomo che si è fatto da sé, un uomo tutto da ammirare, che ha iniziato la sua ascesa dai gradini più bassi. Il piccolo imprenditore, persino il più insignificante imprenditore è tipico dell’Italia. Ai suoi occhi lo stato è un “nemico”, che gli impedisce di fare soldi su soldi. Poi ci sono ancora le casalinghe che stanno davanti alla TV più di tre ore al giorno, che votano in massa Berlusconi. E al nord non sono solo gli imprenditori che lo votano, ma anche gli operai, i dipendenti delle microimprese. E alla fine ci sono i cattolici conservatori, che forse non lo trovano perfetto, ma che lo votano in virtù di una profondamente radicata parola d’ordine: meglio lui che i comunisti.
Nel suo libro lei rimprovera all’opposizione di essere „povera d’idee“. A cosa allude?
Prima di tutto intendo la completa mancanza di un’analisi del Berlusconismo. L’ex partito comunista era certo tutt’altro che perfetto. Però quando il PCI si confrontava con i cambiamenti economici, culturali o politici nel paese, organizzava grandi congressi, per comprendere i fenomeni. L’attuale partito democratico e prima di lui i democratici di sinistra di Massimo D’Alema, si sono impuntati nel chiudere gli occhi di fronte alla novità Berlusconi. Mi ricordo di un’accesa discussione con D’Alema nel 2002 a Firenze. Io sostenevo l’opinione, che avevamo a che fare con un regime dai tratti chiaramente antidemocratici. D’Alema rispose con aria di condiscendenza: “Io lavoro bene con Berlusconi, insieme cambieremo la costituzione”. Berlusconi non è stato mai considerato come un fenomeno che andava oltre le regole democratiche. Invece fu considerato come un “normale” capo dell’opposizione o meglio di governo.
Massimi D'Alema negli anni settanta |
Contemporaneamente si registra un alto grado di silenzio tra l’opposizione politica e sociale nei confronti di Berlusconi.
Qui però non parliamo di un fenomeno italiano, ma internazionale. I partiti sono in crisi in tutto il mondo. Uguale se guardiamo il numero dei loro iscritti, di chi si fida ancora di loro o l’affluenza elettorale – i numeri dimostrano una tendenza all’allontanamento. Allo stesso tempo vediamo però anche uno sviluppo in controtendenza. La società civile ha avuto grossa importanza nella vittoria dei candidati della sinistra dei sindaci di Milano e Napoli. E anche Nichi Vendola, leader di SEL, partito della sinistra, è un politico che appartiene alla società civile.
Nel suo libro lei parla delle risorse della società italiana e valuta l’Italia come una “nazione mansueta”. Cosa vuole dire?
La Francia e la Gran Bretagna vivono di uno sentimento di superiorità tramandato, che io trovo eccessivo. Se parliamo delle virtù delle nazioni, ed in questo contesto di virtù italiane, allora il discorso sulla mitezza diventa estremamente interessante. E’ un enorme contributo, proprio in questi tempi di transizione. Come mai, il primo stato, che ha abolito la pena di morte, già alla fine del 18° secolo era il granducato di Toscana – un’azione che finora gli USA non sono in grado di esibire. O prendiamo Giuseppe Garibaldi, l’eroe dell’unità d’Italia 150 anni fa. Quando incontrò lo scrittore Alessandro Manzoni, non gli offrì una spada o la bandiera nazionale, ma un mazzolino di fiori, simbolo di mitezza ed anche di umiltà. Un Bismarck non andrebbe in giro con un mazzo di violette, vero?
Un altra ricchezza dell’Italia ai suoi occhi è il „paese dalle cento città“. Quindi un paese con una autonomia regionale profondamente radicata.
Questo paese dalla profonda autonomia non ha nulla a che fare con la Lega Nord, che difende gli interessi propri del ricco nord. Non per niente il governo di Berlusconi e della Lega Nord ha ristretto ulteriormente il margine di manovra economica dei comuni. L’autoregolamentazione nel vero e proprio senso della parola, come Carlo Cattaneo l’aveva teoretizzata nel 19° secolo, non fa parte degli argomenti della Lega Nord; anche lei ragiona dall’alto solo con la teoria dei commando.
Un altro lato positivo dell’Italia, lei scrive, è l’atteggiamento profondamente filoeuropeo dei sui cittadini. Allo stesso tempo lei asserisce che l’Italia è “passivamente filoeuropea”.
L’Italia può contribuire con moltissime idee ad una vera Europa unita. Gli italiani parlano molto volentieri male del proprio paese. Essi vivono con il fatto che contemporaneamente all’ingresso in Europa hanno ricevuto molti vantaggi – tra cui la parificazione della politica. Molti lo sanno benissimo e sono nell’intimo riconoscenti all’Europa. Non per niente la percentuale degli italiani che ha preso parte alle elezioni europee, è mediamente elevata. I politici italiani potrebbero trarre vantaggio da ciò. Non per nulla nel mio libro parlo frequentemente di Carlo Cattaneo, milanese e svizzero, che ha vissuto in esilio a Lugano. Lui diceva: “L’Italia sarà libera quando gli Stati Uniti d’Europa diventeranno realtà”.
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