22 novembre 2011

Al di là del parere che potrà solo andare meglio


di Hans Woller
Pubblicato in: Germania il 22 novembre 2011su SüddeutscheZeitung
Traduzione di Claudia Marruccelli per ItaliaDallEstero

L’Italia si è liberata del presidente del consiglio che ha causato danni al suo paese più di ogni altro suo predecessore dal 1945. Il problema è solo: Il fatto che Berlusconi si sia dimesso non significa, che ora le cose andranno per il meglio.

Il nuovo Premier prof. Mario Monti
Silvio Berlusconi ha fatto un passo indietro. Ma davvero siamo in vista di un miglioramento? Il presidente del consiglio italiano ha danneggiato il suo paese – molto più di ogni suo altro predecessore dal 1945. Non è che sia l’unico colpevole delle innumerevoli piaghe che affliggono l’Italia e ora mettono in serio pericolo anche l’Unione Europea. Sin dagli anni ottanta l’Italia zoppica di crisi in crisi, per un certo periodo i mali sono stati persino più gravi e il debito pubblico più elevato di oggi. Tuttavia invece di sollevare un paese pesantemente provato e indicare una nuova prospettiva, Berlusconi ha inchiodato l’Italia in una specie di diffusa stagnazione. L’Italia è rimasta sempre più indietro in Europa, mentre il capo del governo si dedicava ai suoi interessi personali e si occupava spudoratamente dei suoi vantaggi.

Però questo ora è acqua passata. Berlusconi incontrerà i suoi giudici e dovrà temere per il suo regno. La democrazia ha patito durante il suo regime, ma non si è spezzata. L’uscita di Berlusconi ne è una dimostrazione. Il regolamento parlamentare funziona, gli organi costituzionali adempiono ai loro compiti. L’Italia del dopo Berlusconi è più democratica di prima.

Il problema è altrove. L’Italia riuscirà a rimettersi in piedi economicamente? È già pronto un governo, che sia capace di agire, che abbia le carte in regola per Bruxelles e possa emettere un futuro programma degno di questo nome? Le previsioni non sono troppo rosee. L’Italia ha ignorato la caduta della vecchia classe industriale e si è lasciata sfuggire la terza rivoluzione industriale. La stravecchia società, poco trasparente dal punto di vista sociale e spesso persino ammuffita guarda turbata in un futuro incerto, si isola nei confronti dell’esterno. Sintomatico è lo striminzito numero dei Global Player nell’economia. Le imprese che spesso sono a carattere familiare rifuggono la concorrenza dei mercati mondiali e investimenti più arditi. Ricerca e sviluppo vengono quindi trascurati sia da loro che dallo stato, che per di più è colpevole di aver investito poche risorse nell’istruzione.

Dalla metà degli anni ottanta, quando è iniziata la crisi, i vari governi di centro sinistra, centro destra e centro hanno coinvolto specialisti per trovare rimedi – senza una soluzione radicale. Perché? Il motivo fondamentale si colloca nella frammentazione della società italiana. Tendenze centrifughe di questo tipo ce ne sono dappertutto in Europa. Però in Italia raggiungono particolari picchi, perché qui si presentano in tre varianti, che si condizionano a vicenda e sono difficili da gestire nella loro complessità.

Per primo, in nessun paese dell’Europa il dislivello tra singole regioni è così evidente come in Italia. Il moderno e ricco nord si contrappone ad un sud scarso in strutture e quasi ancora feudale, che di recente è stato quasi interamente ammortizzato; se si tiene conto dello stress da modernizzazione che domina anche al nord, ulteriori effetti del Welfare nel mezzogiorno sono quasi inesistenti.

A ciò si aggiunge un profondo rifiuto generazionale. Non solo la invecchiata classe politica nega ogni possibilità ai giovani. Simili rapporti dominano nei piani alti dell’economia, nelle università e nel mercato del lavoro, dove soprattutto i sindacati sono preoccupati di una cementificazione della situazione attuale. I pensionati, la fetta dominante dei loro iscritti, sono per loro più importanti della futura forza di lavoro, che spesso resta eternamente precaria.

Infine occorre citare gli innumerevoli indurimenti ideologici, che secondo l’analisi italiana non sono da sottovalutare. Don Camillo e Peppone, che hanno trovato alla fine un unico comune denominatore per tutti i conflitti, sono una simpatica fiction. L’Italia ha nel suo bagaglio storico una sanguinosa guerra civile e una violenta guerra fredda. La conseguenza è una ostinata ostilità tra i partiti politici, che considerano il consenso e il compromesso un tradimento dei loro principi ideologici.

Don Camillo e Peppone
L’opposizione incompetente

Berlusconi non era interessato al superamento di questo inasprimento ideologico. Al contrario: ha fomentato la vecchia paura verso il comunismo per calcolo elettorale, mentre la sinistra è rimasta ferma sulla posizione di avversario politico che aveva durante il fascismo mirando al raggiungimento di analoghi traguardi di poco conto. Qui viene richiesto da entrambe le parti un disarmo intellettuale e morale – e i chiari conflitti verso gli oscuri aspetti del rispettivo passato, che vengono evitati sia dagli ex comunisti che dagli ex fascisti e dalla maggioranza silenziosa, che ha sempre taciuto su tutto.

Berlusconi è caduto anche perchè non ha mai affrontato la pacificazione interna mediante un chiarimento storico, allo scopo di ottenere un consenso plebiscitario. Peccato solo, che anche l’opposizione non pensa ad una simile opzione. È proprio un unico punto interrogativo. In teoria nasce da parecchi partiti, numerosi circoli e movimenti, che ogni tanto fanno promesse a vuoto e le trasformano un una nuova ventata di aria fresca. Appartengono all’ex partito comunista personaggi dogmatici e pragmatici come i socialisti, militanti nel movimento dei diritti dell’uomo, radicali ingenui, ambientalisti e qualche nostalgico della Democrazia Cristiana – tutti in generale edonisti ideologici e quindi persone inaffidabili, che non si fidano l’una dell’altra e che in passato non hanno fatto mai un tentativo di abbozzare un programma di governo o di un formare governo ombra. Bastano solo a se stessi e celebrano come il trionfo di una politica alternativa, quando tutti assieme non presenziano ad un discorso di Berlusconi in parlamento.

Una delle fonti di speranza di questa catasta di eccentriche e contraddittorie teste è Nichi Vendola. Il presidente della regione Puglia ha scritto nel 2011 un libro, che è stato pubblicato anche in Germania e per puro caso ricorda il piccolo Häwelmann (Il rompiscatole) di una favola di Theodor Storm. “Vogliamo sempre di più” grida Vendola come il piccolo Häwelmann, intendendo quindi: più insegnanti, più giudici, più assistenti sociali, più medici e infermiere, soprattutto molto più stato, che abbia come fine il benessere della gente sulla terra. Chi deve esaudire questi innumerevoli desideri, resta un segreto di Vendola. Nessuna parola sui 1,9mila miliardi di debito pubblico, nessun cenno sulla manovra di risparmio imposta da Bruxelles e neanche una frase sugli alleati di coalizione, che fanno della lista di regali che intendono ricevere il loro programma politico. Che anche egli non crede a se stesso, appare chiarissimo nel suo verdetto sulla sinistra, che dovrebbe davvero formare la base un nuovo governo come maggiore forza all’opposizione: la sinistra italiana si trova in una “evidente crisi senza uscita”, che si manifesta in una “mancanza di idee, di visioni e di nuove forme di politica. Il risultato è una completa paralisi politica.”

Vediamo: l’opposizione nella sua attuale situazione non è affidabile ne’ dal punto di vista governativo ne’ politico. Non ha volto, ne’ programma e persino nessuna voglia di governare. In alcuni paesi dell’Europa è scoccata l’ora dell’opposizione nella crisi monetaria e finanziaria, l’Italia si appiattisce e ormai si fa avanti timorosamente solo in casi estremi. Anch’essa spinge per un governo di tecnici indipendenti, in cui lei stessa non occupa neanche un ruolo secondario.

L’Italia continuerà a tormentarsi anche senza Berlusconi, di crisi in crisi – senza immediate vie d’uscita. Ogni nuovo governo è sempre meno capace di agire rispetto al precedente, che almeno ha reagito alle pressioni di Bruxelles. Un nuovo governo di centro destra, cioè, si atterrebbe a questi progetti, anche in caso di un governo di tecnici. Tuttavia avrebbero la forza sufficiente ad eliminare gli ostacoli, che da tempo si frappongono al necessario risanamento e modernizzazione dell’Italia? Nel peggiore dei casi ce l’avrebbe un governo di centro sinistra: dovrebbe piegarsi ai desideri della sua base, che non ne vuole sapere della razionalizzazione dei posti di lavoro, dei tagli alle pensioni e altre manovre del genere nel sistema sociale e si ribellerebbe anche alle misure di risparmio dei due “eurodittatori di destra” Merkel e Sarkozy. La gestione della crisi a Bruxelles sarebbe ancora più drastica, senza che si capisca chi ne guadagna: l’Italia certo che no, dato che senza immediati aiuti dell’Europa e senza le massicce pressioni per le riforme dall’esterno il paese è perduto.

L’autore è caporedattore della rivista trimestrale sulla storia contemporanea e ha pubblicato nel 2010 un saggio sulla storia dell’Italia nel 20° secolo

1 commento:

Wienermädel + Co ha detto...

Ich hoffe sehr, dass sich diese pessimistische Stimmung bald wieder zum Guten wendet!
Liebe Grüsse aus Wien