16 settembre 2010

A proprio agio nel suo Stivale - Adroit dans sa botte


Da Italia Dall'Estero - 
A proprio agio nel suo Stivale

A testa bassa. Silvio Berlusconi, l’insopportabile Presidente del Consiglio incarna fino in fondo un’Italia volgare e regressiva.

È una delle sue barzellette preferite: c’è una gran folla davanti alla porta del Paradiso, e Silvio Berlusconi pretende di passare per primo. San Pietro chiama Dio al suo cellulare e gli spiega che c’è un tipo che vuole passare ad ogni costo, dicendo di chiamarsi Berlusconi. “È un impostore – ribatte Dio –. Berlusconi sono io”. La barzelletta lo fa ancora ridere, anche se ormai sono anni che il Primo Ministro italiano, nonché magnate dei media, la racconta. Megalomane lo è sicuramente, visto che dichiara ai quattro venti che il suo “governo è il migliore che l’Italia abbia avuto negli ultimi 150 anni”.

Vanterie da non prendere alla lettera visto che il personaggio, a sentire il suo entourage, sarebbe dotato di un grande senso dell’humour. Ma i suoi atteggiamenti da fanfarone piacciono al suo pubblico – pardon, ai suoi elettori – tanto quanto scatenano lo sdegno dei suoi avversari. La sinistra, certamente, ma anche una certa destra liberale ed intellettuale “adorano” odiare Silvio Berlusconi. Nessun leader, dai tempi di Mussolini, ha occupato le prime pagine dei media come lui. “O i giornali parlano di lui, sia nel bene che ne male, o non hanno nulla da pubblicare”, sogghigna Vittorio Feltri, direttore ed editorialista d’assalto de Il Giornale, il quotidiano appartenente alla famiglia Berlusconi. E all’estero è ancora peggio: lo si deride e ci si indigna.

Riconosco di non essere particolarmente originale nel mio detestare colui che è al tempo stesso il più ricco ed il più potente uomo del Paese, tre volte Presidente del Consiglio, e che soprattutto incarna l’aspetto più istrionico, volgare e regressivo d’Italia. «Non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me», cantava il genovese Gian Piero Alloisio. Anch’io a volte, e purtroppo, rido del personaggio. Le sue battute sono calcolate, rivelano il non-detto sui soldi e sull’arte di sapersi arrangiare con le leggi, legittimano tematiche a lungo rimaste tabù – come la xenofobia o il disprezzo dei poveri e dei deboli – in un panorama politico dominato fino alla fine degli anni ‘80 dalla morale della cultura cattolica e da quella comunista. Da qui la sua sorprendente popolarità, anche se recentemente il suo consenso è sceso ad appena il 41%.

Ma resta al comando, senza veri rivali, malgrado le sue farsesche scappattelle sentimentali ed i suoi innumerevoli guai giudiziari. E nonostante la realtà di una crisi economica a lungo negata da questo milanese fattosi da sè, che annunciava ai primordi della sua irresistibile ascesa politica all’inizio degli anni ‘90 di voler “governare con la libertà dell’imprenditore”. Quando all’epoca gli si chiedeva la ricetta del suo successo, rispondeva in inglese: “To think big” [Pensare in grande, N.d.T.], in inglese, per darsi un tono e con un gran sorriso. Il marketing applicato alla politica. “Alito fresco, mani asciutte, e sempre un complimento per il vostro interlocutore” raccomandava ai quadri di Forza Italia, partito-impresa che gli permise nel ‘94 di vincere le elezioni, pochi mesi dopo la sua irruzione nel paesaggio politico devastato dall’inchiesta Mani Pullite. Riorganizzò una destra con le spalle al muro, puntando tutto sulla paura “dei rossi”, il suo eterno slogan elettorale.

Ma il seduttore a cui piaceva fare il “crooner” si è trasformato nella caricatura del belloccio al tramonto. Capelli tinti e trapiantati, sfoggia un viso ormai ceroso e immutabile da ultra-liftato. Racconta barzellette indecenti come non mai, per dimostrare che “ne ha ancora”, nonstante il tumore alla prostata operato nel 1997; da qui il suo irresistibile bisogno di circondarsi di giovani e belle ragazze, tra le quali la celebre Noemie, sua protetta napoletana che lo chiama “papi”. “Una puttanocrazia”, per riprendere le parole di Paolo Guzzanti, deputato berlusconiano pentito, nella quale il dibattito sulle idee è dominato dal kitsch televisivo e le candidate alle elezioni o le ministre sono selezionate in funzione della loro taglia di seno.

Tutto in lui suscita un’irrefrenabile irritazione. La sua “burinaggine”, con il sarcasmo volgare sull’ ”abbronzatura” di Obama o sulla bellezza delle segretarie italiane, vantaggio notevole per gli investitori. È ricco, molto ricco, e ama farlo vedere dando feste felliniane nelle sue ville sfarzose. Scherza su Mussolini, “che non ha ucciso tanta gente”, e ha reintegrato sullo scacchiere politico i post-fascisti. Governa con la Lega Nord, partito decisamente xenofobo, i cui virulenti proclami anti-immigrati fanno passare le derive verbali di Le Pen per leggerezze da bar. A ciò si aggiungono le numerose leggi fatte su misura ed un evidente conflitto di interessi tra il capo dell’esecutivo ed il padrone dell’impero mediatico.

Colui che è soprannominato “Sua Emittenza”, controlla in particolare la maggior parte del panorama televisivo italiano. Giorno dopo giorno i suoi media lo celebrano, trasformando in epopea la soluzione del problema dell’immondizia a Napoli o la sistemazione in prefabbricati delle vittime del sisma de L’Aquila. Da qui a dire che tanto fragore gli porta i voti del Paese, c’è un passo da non fare. Ma ha perso le elezioni due volte. In definitiva, le sue stravaganze divertono.

“Silvio Berlusconi è una buona autobiografia della nazione”, riassumeva il politologo Gianfranco Pasquino. Diciamo, almeno l’autobiografia di una certa Italia, drogata dalla televisione con le paillette, avida di denaro, portata all’illegalità, indulgente con la corruzione e visceralmente ostile allo Stato. Ironizzava lo scrittore di gialli Andrea Camilleri: “incarna la cultura del motorino”, ovvero quella del furbetto che s’intrufola, si arrangia e si toglie dagli impicci. “Sono come voi: amo le belle donne, il calcio e divertirmi” si compiace di ricordare d’altronde “il Cavaliere”, che spinge a fondo su questa identificazione. Alla vigilia del suo secondo trionfo elettorale, nel 2001, aveva firmato in diretta televisiva “un contratto con gli italiani”, promettendo una quasi totale abolizione della tassa di successione. “Sono i miei ed i vostri interessi”, martellava il magnate, che su questo punto ha mantenuto la parola.

È uno straordinario imbonitore, ed adora vendere. All’arrivo dell’estate in uno spot del Ministero del Turismo vantava le delizie del viaggio in Italia per incitare i suoi compatrioti a passarvi le loro vacanze. Berlusconi non è la malattia dell’Italia, ma il suo sintomo. Da allora, questo cocktail di tutto-mio, di populismo, di ultra-liberalismo di facciata e di clientelismo con tanto di distribuzione di soldi pubblici è fiorito altrove nel Vecchio Continente. Lo scorso settembre, in occasione del suo 73° compleanno, Sua Emittenza buttava lì:”Mi alleno a spegnere 110 candeline”. Ovviamente era per ridere. Però…

Da Libération - Adroit dans sa botte

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