di Petra Reski – 12 luglio 2012
Pubblicato in: Germania, Svizzera
Traduzione di Cristina Bianchi per ItaliaDallEstero
artticolo in ligua originale [Artikel auf Deutsch]
Chi possiede davvero la città lagunare? Benetton, Prada o i cinesi? Da quando Venezia ha scoperto la privatizzazione predomina la svendita. Poco importa che siano palazzi, l’ospedale o le isole. Si vende tutto.
Al mattino Venezia appartiene ancora a se stessa. Quando la volta del cielo sulla città si riempie di nuvole rosa porcellana e non si ode null’altro che il fruscio delle scope sul marmo, le grida dei rondoni e i propri passi. Stavo sul molo del ponte di Rialto, era uno di quei rari momenti in cui il Canal Grande se ne sta lì come un vassoio d’argento e i Palazzi della Riva del Vin si rispecchiano nell’acqua. Nessun vaporetto che passava, nessun taxi che attraversava il canale, in lungo e largo per il canale non si intravedeva nemmeno una gondola, persino le barche della spazzatura non navigavano ancora. Ho dato un’occhiata a destra e a sinistra per accertarmi che nessuno stesse guardando, ho tirato fuori il mio iPhone e ho scattato una foto. Poi mi sono vergognata un po’ perché cose di questo tipo le fanno solo i turisti, e con quelli non si vuole proprio essere scambiati dopo ventun anni a Venezia.
Venezia |
Vaporetto dell'arte |
L'ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari |
Prima che riuscisse a spingermi fuori dalla stanza, raccolsi tutte le mie forze e tenendomi saldamente ai lati della porta chiesi: e cosa ne sarà del Fondaco dei Tedeschi, la posta centrale? Resta così o diventa un hotel pure questo? Al che Cacciari urlò: lo difenderò con i denti! Costa 50 milioni di euro e altrettanto la ristrutturazione! Ed è già stato inserito nel piano regolatore come struttura alberghiera! E chi altri spenderebbe così tanti soldi per un edificio che non si può toccare?
Il Fondaco dei tedeschi in una stampa dell'epoca |
Ai Benetton apparteneva già, fino a poco tempo fa, l’Isola di San Clemente, che hanno trasformato in hotel di lusso e poi rivenduto proficuamente, è di loro proprietà il teatro rococò ”Ridotto”, trasformato in una sala da pranzo dell’albergo dei Benetton “Monaco” e pure la stazione con l’edificio della società delle ferrovie. Per questo motivo oggi Venezia è soprannominata anche «Benettown».
I veneziani pertanto non si stupirono affatto quando il sindaco Cacciari e il suo assessore all’urbanistica Roberto D’Agostino all’improvviso diramarono la necessità di un nuovo ponte: il ponte di Calatrava, che fa confluire il flusso dei turisti dalle autorimesse del parcheggio di Piazzale Roma direttamente davanti all’edificio ferroviario di Benetton, che sta per essere trasformato nell’ennesimo centro commerciale. Il ponte per la stazione di Benetton fu presentato come un regalo dell’architetto spagnolo Calatrava, un affare da 3,6 milioni di euro. Ma l’architetto commise errori di calcolo nella progettazione, cosa che portò a problemi di stabilità e alla fine il ponte venne a costare 11,6 milioni di euro, sbugiardando il tanto proclamato annuncio dell’assessore all’urbanistica di regolare il flusso dei turisti grazie al ponte. Tant’è vero che oggi sul prezioso ponte di vetro non si possono nemmeno trascinare trollies o carrellini della spesa.
Ponte di Calatrava |
Non lontano dal ponte di Rialto, a Campo San Bartolomeo, un contatore luminoso nella vetrina della farmacia Morelli mostra il numero dei veneziani rimasti, stamattina era a 58 765. Quando arrivai qui vent’anni fa erano 20 000 in più, ma sempre tre volte meno che negli anni Sessanta. Su 58 765 veneziani che restano arrivano quotidianamente 83 000 turisti. Questo non dà la cifra propagandata di 22 milioni di visitatori all’anno, ma piuttosto 30,3 milioni. Un numero stimato e pubblicato da Italia Nostra, associazione per la salvaguardia dei beni culturali e dell’ambiente e taciuto dalla città di Venezia come fosse un segreto di stato. Sarebbe controproducente. Niente disturba di più i turisti quanto altri turisti.
Mentre i veneziani si sono trasferiti sulla terraferma in alloggi a prezzi abbordabili, la vita quotidiana veneziana è evaporata come una pozzanghera al sole. Prima dal panettiere in via XXII Marzo della Frezzeria faticavo ad avere la meglio sulle nonne veneziane che si facevano largo con destrezza, oggi sono spariti sia il fornaio veneziano che le nonne. Prima bastava evitare Piazza San Marco e il Ponte di Rialto o deviare intrufolandosi nelle calli, “tagiar per le fodre”, scivolare per le fodere, come dicono i veneziani. Dopo le sette di sera quando i turisti pendolari avevano lasciato la città, regnava la pace. Ma oggi si sono scoperti anche quartieri lontani come Sant’Alvise. Un terzo delle abitazioni veneziane sono case per le vacanze che vengono affittate in nero. Nel nostro palazzo mi imbatto ogni giorno in visi sconosciuti, una volta una famiglia russa, una volta una coppia inglese o una coppia gay francese, che si trasferiscono qui a Venezia per tre giorni e si comportano come se vivessero qui da decenni. E ai quali cerchiamo di spiegare con post-it in inglese, tedesco e francese, che si devono occupare autonomamente dei loro sacchetti di immondizia e non aspettarsi che li riponiamo noi nel vicolo al mattino.
Spazzatura a Venezia |
Ma il turismo non ha reso ricca Venezia, l’ha impoverita.Qui si arricchiscono solo i marchi di lusso che in Piazza San Marco si fanno pubblicità su manifesti grandi come piscine olimpioniche. Ma in quale altro luogo esiste uno showroom visitato da 30 milioni di persone ogni anno? Venezia vive in una permanente vendita. Solo negli ultimi cinque-sei anni un centinaio di palazzi storici sono stati trasformati in alberghi di lusso. Palazzo Ca’ Corner della Regina, in stile tardo barocco, Prada lo acquistò dalla città per 40 milioni di euro insieme alla piccolissima variazione al piano regolatore che permette l’utilizzo del palazzo non solo come showroom per le creazioni di Prada, ma anche dal punto di vista commerciale, costruendo quindi al suo interno bar, ristoranti e almeno una boutique Prada. Almultimiliardario imprenditore di beni di lusso francese François Pinault è stato dato in affitto Palazzo Grassi, in cui espone la sua collezione accrescendone così il valore; anche Punta della Dogana, l’ex magazzino doganale della città, gli è stato dato in concessione a titolo gratuito per 30 anni. Il mulino Stucky, il più importante monumento industriale di tutta Venezia, è stato venduto a Caltagirone, l’imprenditore siciliano di recente arrestato per truffa, con l’obiettivo dichiarato di farvi sorgere appartamenti nuovi per i veneziani. In realtà il mulino Stucky è stato trasformato – con l’interruzione provocata da un piccolo incendio doloso – in struttura alberghiera con annesso centro congressi.
Lavori di ristrutturazione dell'ex Molino Stucky |
Gli imprenditori arricchiti con fondi pubblici hanno un unico problema: investire i loro soldi nel modo migliore possibile. Così ora l’immobiliare Est Capital, dietro alla quale si nascondono un ex assessore alla cultura veneziano e un imprenditore arricchitosi grazie al sistema di dighe mobili Mose, ha comprato anche il Lido. Non soltanto gli storici Hotel des Bains ed Excelsior e il forte di Malamocco, che diventeranno presto hotel con annesse case-vacanza, ma anche l’ospedale del Lido, in cui sarà creato un complesso alberghiero. Ma il boccone più ghiotto è la Marina Grande di Venezia, un porto turistico con oltre mille posti barca. La costruzione di quest’isola artificiale delle dimensioni della Giudecca è già stata approvata dal comune di Venezia, proprio come il parcheggio per almeno 500 posti-auto insieme al nuovo accesso alla strada.
Questa città è candidata alla morte, dicono gli attivisti delle organizzazioni ambientali del Lido, tre uomini anziani seduti al bar Belvedere come villeggianti che si godono l’ultimo sole della sera pensando alla cena. Ma che in realtà organizzano manifestazioni di protesta, dimostrano, contestano.
L'attuale sindaco di Venezia Giorgio Orsoni |
Hanno protestato i comitati cittadini del Lido che non vogliono arrendersi alla vendita e il console francese, che vive a Venezia da un quarto di secolo, ha definito il turismo a Venezia una barbarie, il Carnevale come l’Oktoberfest e i politici locali dei guitti. L’associazione cittadina “40 x Venezia” ha organizzato incontri di discussione e il movimento cittadino 5 Stelle, entrato nel consiglio comunale due anni fa, ha fatto ciò che lo ha portato ad essere considerato il problema più spinoso del municipio veneziano: fare domande. «Ci temono per via del controllo», dice Marco Gavagnin, che con i suoi collaboratori ha il suo ufficio in una sorta di ripostiglio di Ca’ Farsetti. Da qui raccontano su blogs e su Youtube come spariscono i fondi pubblici di Venezia, cosa che guasta un po’ il buonumore in municipio dove, proprio come nel Parlamento italiano, da decenni politici di destra e di sinistra tengono le mani in pasta indisturbati e in perfetta armonia.
Panorama sul Lido di Venezia |
Paolo Lanapoppi osserva dalla finestra il tranquillo Campo della Chiesa di San Martino che nella luce del mattino sembra ricoperto di polvere dorata. Per costringere le comitive turistiche a prenotare una visita a Venezia Lanapoppi documenta sulla homepage di Italia Nostra le occasioni mancate per la rinascita di Venezia. Rilanciare l’area dismessa dell’arsenale, l’ex cantiere navale della Repubblica Veneta, con allestimenti scientifici, tecnologici e culturali. Non puntare su un porto per navi da crociera e portacontainer che preveda posti di lavoro solo per gruisti, ma puntare su tecnologie del futuro. Bonificare l’ex zona industriale di Marghera insediandovi aziende di biotecnologie e nanotecnologie, invece che lasciare la zona nelle mani delle solite compagnie petrolchimiche che hanno già inquinato il terreno. Spazzar via i megaprogetti come la costruzione della Sublagunare, una metropolitana sommersa per l’aeroporto che servirebbe esclusivamente a politici e imprenditori. Bloccare la svendita di Venezia. «Siamo a un punto di svolta», dice Lanapoppi. «Se non succede nulla ora, Venezia è definitivamente morta.»
Minuscola calle veneziane |
Quella tranquilla mattina in cui fotografai il Canal Grande con il mio iPhone comprai, come d’abitudine, il giornale dal mio edicolante brontolone in Campo Sant’Angelo. E stentavo a credere ai miei occhi. C’era scritto che il Ministero dei Beni Culturali a Roma aveva dichiarato nulle e invalidato le autorizzazioni ai progetti di riconversione del Fondaco dei Tedeschi di Rem Koolhaas, insieme alla scala mobile, la terrazza sul tetto con vista su Venezia, la terrazza galleggiante sul Canal Grande. Cosa che comporterebbe per la città di Venezia una mancia da 6 milioni di euro con cui edulcorare la garanzia prestata ai Benetton di avere i permessi nel tempo record di un anno. Forse c’è ancora speranza? Mentre percorrevo il vicolo verso casa, così stretto che ci si scontra sempre con chi viene in direzione contraria, ci è mancato poco che abbracciassi un turista.
Vista sul Ponte di Rialto |
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