Slate: Pourquoi les mafieux ont toujours des surnoms?
Il 19 gennaio l’FBI ha messo a segno un grosso colpo contro i cinque grandi clan mafiosi di New York: i Gambino, i Genovese, i Lucchese, e i Colombo. Sono stati mobilitati 800 agenti federali per questa operazione e il risultato è stato impressionante: 127 arresti. Secondo il New York Post, che cita le autorità americane, si tratterebbe di una delle “più vaste retate antimafia nella storia dell’FBI”. Tra gli arrestati, Junior Lollipops (leccalecca), The Beard (il barba) Tony Bagels (ciambella), Johnny Bandana, Hootie, Meatball (Polpetta), The Vet (il veterinario), Mush (fungo), Beach (spiaggia) … la lista dei nomi di questi mafiosi ha suscitato numerosi commenti. Cosa vogliono dire questi soprannomi? Hanno un vero significato per loro, da dove arrivano e a cosa servono?
Una vecchia tradizione
I soprannomi non sono un’invenzione della mafia italo-americana: l’attribuzione di un soprannome corrisponde ad un’antica tradizione dell’Italia del sud. Nei paesi dell’Italia meridionale non è raro usare il soprannome al posto del nome proprio. La mafia si attiene a questa tradizione e sfrutta la cultura popolare per ricavarne ogni specie di soprannome. I riferimenti sono di vario tipo: cinematografico, come Francesco Schiavone, detto Sandokan poiché assomiglia all’attore Kabir Bedi; letterario, come Matteo Messina Denaro detto Diabolik … senza contare i soprannomi doppi che si rifanno alla religione come ‘U Patri Nostru (Padre Nostro in siciliano), soprannome di Michele Navarra, padrino della provincia di Corleone negli anni 40 e 50.
Nella mafia italo-americana, la tradizione resta italiana ma il linguaggio [usato] è americano. Così Salvatore Lucania diventa Lucky Luciano (perché sopravvissuto miracolosamente ad un pestaggio in cui era stato dato per morto); Joseph Bonanno diventa Jo Bananas.
Connotazione e Indicazione
Questi soprannomi sono anche davvero utili ai mafiosi. Sono indicativi e connotativi. I soprannomi indicativi fanno riferimento semplicemente ad un elemento che descrive [nell’aspetto] il personaggio. Così Totò Riina era soprannominato Totò u curtu (il piccolo in siciliano) per la sua bassa statura (158 cm). I soprannomi connotativi, invece, non si limitano a riferirsi alla caratteristica del personaggio. Sono una specie di nobilitazione/elevazione, conferiscono una forte carica connotativa alla persona. Infatti Michele Greco era soprannominato Il Papa a causa della sua abilità di mediatore tra le varie famiglie mafiose. In questo senso i soprannomi non hanno nulla di ironico, anzi al contrario: rimarcano l’identità di chi li porta.
Siccome il consenso e l’apparenza sono essenziali all’interno della criminalità organizzata, è quindi molto importante per I mafiosi riflettere un’immagine positiva, onesta e accattivante. Ecco perché non tutti i mafiosi hanno un soprannome, mentre i personaggi che occupano posizioni chiave in seno all’organizzazione ne hanno quasi sempre uno.
Immagine, identità …
Ecco perché i soprannomi dei mafiosi possono cambiare nel corso del tempo, con l’esplicito consenso del possessore. Bernardo Provenzano quindi cambia il suo da Binnu u Tratturi (Bernardo il trattore), a causa della violenza con cui eliminava i suoi nemici, a Ragioniere, soprannome che evidenzia quindi la sua evoluzione nel cuore dell’organizzazione criminale: diventa il capo dei Corleonesi e quindi di tutta Cosa Nostra.
Questi soprannomi che possono sembrare apparentemente strani non hanno nulla di ridicolo per i mafiosi, anzi il contrario. Al di là dell’aspetto folcloristico, riflettono una dimensione identitaria che è fondamentale nella mafia e nelle organizzazioni criminali, ed è questo quindi che la distingue dalle altre.
Simbolicamente, l’attribuzione del soprannome fa parte di un processo comunicativo fondamentale: il passaggio dall’essere non mafioso ad esserlo. Il soprannome è un riconoscimento ed una rilettura della propria identità all’interno della cellula mafiosa. In questo senso è vissuto come una consacrazione, proprio come nel caso dei frati che cambiano nome quando prendono entrano in un ordine religioso.
… e preoccupazioni pratiche
E quindi appare molto chiaro che i soprannomi rispondono a delle esigenze pratiche. La sicurezza innanzitutto: cambiar nome permette di proteggersi dalla fuga di notizie/delazioni. E’ per questo che Tommaso Buscetta, boss della mafia siciliana noto per essere stato il primo grande pentito di Cosa Nostra, si faceva chiamare Roberto. Ma i soprannomi permettono anche di circoscrivere/evitare i problemi di omonimia. Nella famiglia dei Greco per esempio, ci sono parecchi Salvatore. Uno era soprannominato Chiaschiteddu (fiaschetto); l’altro si faceva chiamare l’Ingegnere o Totò il lungo.
Nella maggior parte dei casi, quindi sono i mafiosi stessi che si scelgono il proprio soprannome, che permetta loro di consolidare il proprio potere, o anche di evitare di essere riconosciuti in caso di arresti. Ma i media e la polizia possono anche assumere un ruolo nell’attribuzione dei soprannomi. Per esempio il titolo Capo dei capi usato per Totò Riina è un’invenzione dei media così come il termine Cupola, che indica il vertice di Cosa Nostra.
I mafiosi possono non gradire I soprannomi che vengono loro assegnati. Per esempio il padrino dei Colombo (clan mafioso newyorkese) Carmine Persico John, veniva chiamato dai poliziotti americani The Snake - Il Serpente. Un soprannome che il mafioso detestava soprattutto quando diventò famoso nella cerchia dei mafiosi.
Slate
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