12 agosto 2010

Diario di un Campo


Sabato, 24 luglio 2010
Liberainformazione

Per scrivere un diario ci vogliono tempo e calma. Anche se il diario è quello dei campi di E!State Liberi! 2010. Forse, soprattutto se è questo il diario che voglio scrivere. Provate voi, in una casa dove stiamo 24 ore al giorno sempre in gruppo, dove persino tra un bagno e l’altro ci sono finestre comunicanti sempre aperte che permettono interessanti dialoghi persino nei momenti più intimi, a trovare anche solo un momento di tranquillità. E anche se il nostro campo prevede una prevalente attività di approfondimento sui temi della mafia e dell’antimafia (merito ‘nostro’ se la dicitura dei campi quest’anno è “campi di lavoro e di studio” e non solo “campi di lavoro”…) il tempo scarseggia paurosamente. Per fortuna.
Allora tempo e calma li trovo in questa notte. Seduta nella terrazza dell’Asharam Santa Caterina di Castellammare di Stabia, mentre gli altri probabilmente dormono. Me ne sono scappata di sopra, all’aperto dell’aria fresca e nera per recuperare un po’ d’intimità. So già che mi addormenterò qui, nel silenzio di questo scenario stupendo, senza raccontare nemmeno un quarto di quello che mi frulla nella testa ora e di quello che mi frullava in questi primi giorni di campo. Già tutto passato altrove, in quella parte che c’è, la senti, la percepisci, sai che ti rende quella persona che sei… ma non la trovi più con precisione, non sai più esattamente dove sia. Ma c’è. Sai che c’è!
… è un modo carino per dire che qualcosa sto già cominciando a dimenticarla…
Non ci crederete mai! Le mie compagne di stanza, preoccupate perché non mi vedevano in giro, sono venute a cercarmi in terrazza. E mi hanno fatto tanto ridere! Pensavano (pazze! È un “pazze” affettuoso.) stessi passando lo straccio per terra (ma all’una di notte?!)… Son quattro giorni che cerco invano di finire di pulirla tutta. Ogni momento libero vengo quassù a fatica’, ma non c’è verso. Me la son presa a cuore questa terrazza e la saluterò, alla fine, che ancora non sarà a posto…
Mi raccomando, voi che leggete, leggetela in toscano questa parte perché io in toscano l’ho pensata! “C’è persone da tutta Italia in questi campi!”
Dicevo, prima dell’inaspettata interruzione, che qualcosa l’ho già dimenticata. Qualche numero, qualche nome, qualche fatto… mi dispiace (“che tu te ne dispiaccia!”, direbbe la Santanchè di Paola Cortellesi). Ma quello che non scordo… sono le emozioni, quel groviglio di emozioni che mi porto fin dalla prenotazione del posto in questo campo. Quello che non scordo sono le consapevolezze che acquisisco, le scelte che faccio, le decisioni che prendo.
Sono scappata in terrazza, questa sera, dopo aver visto un film di cui avevo sentito tanto parlare e che volevo assolutamente vedere. Non esisteva posto migliore dove guardarlo. Qui, vicinissimo ai luoghi di cui si parla, ad un passo da chi in quel film ci abita, dato che ritrae la situazione odierna della ‘Terra dei Fuochi’. Mi sono rifugiata lontana da occhi e orecchie indiscreti per sfogare dolore e rabbia. E come mi sfogo? Piangendo… Piango di dolore e di rabbia. Perché non è giusto. È una motivazione banale? Chi lo sa. Qui bisognerebbe indignarsi. Anzi, decisamente incazzarsi di brutto. Invece a me sembra sempre e solo di disperarmi. E non è ben canalizzata l’emozione, se è questa la reazione. E’ la rabbia che ti fa agire, lottare e conquistare i piccoli grandi obiettivi. La disperazione non porta a nulla. Rielaborando qualche citazione del discorso di benvenuto… è la rabbia che ti fa camminare verso l’orizzonte di un mondo migliore. La disperazione ti blocca e porta rassegnazione convincendoti che l’orizzonte è irraggiungibile, per cui tanto vale muoversi.
Ebbene, stasera quindi, dopo aver risolto alla meno peggio qualche problemino tecnico, abbiamo guardato “Biutiful Cauntri”.
«E’ inguardabile», «E’ un pugno nello stomaco». Questi e simili sono i commenti che si susseguono. Io me ne sto, come al mio solito, in silenzio. Assorbo, rielaboro e scoppierò altrove. Ma intanto sono qui. Concentrata a fatica nonostante la stanchezza. Seduta in prima fila nel disordine di sedie sparse davanti allo schermo. Avete presente il cinema? Ecco, l’esatto contrario (se non per il buio): sedie accavallate, qualcuno seduto a terra e piante fuori luogo che bloccano la visuale.
Tra le persone sedute a terra, proprio appoggiato alla sedia che occupo, c’è il nostro responsabile di campo, Aldo. E allora partiamo da lui che ha già visto questo filmato 4 volte. Partiamo da lui perché s’incazza e si emoziona ogni volta che lo vede. E nel buio della ‘sala’ s’intuisce… Partiamo da lui perché, quando nel film appare Bertolaso che non risponde alle domande che gli si pongono se non qualcosa tipo «Me ne occuperò», lui sbotta sotto voce. Un sussurro, quasi un pensiero sfuggito per sbaglio alla mente ed espresso fuori dai denti, spontaneo: «E cos’hai fatto?!». Partiamo da lui perché, sentendo questa esternazione improvvisa, nei miei pensieri la mia mano si è allungata fino alla sua spalla e l’ha stretta leggermente come a tentare di dare un minimo conforto alla persona che, davanti a me, in queste parole soffre. Non l’ho poggiata davvero la mano sulla sua spalla. Ma il pensiero c’è stato: immediato e spontaneo come quella sua esternazione. Dubito che, almeno in questo caso, si possa dire che basti il pensiero. Ma mi prendo una piccola ‘rivincita’ scrivendolo… e sperando fortemente in alcune parole di Gandhi che spero abbia scritto/pronunciato veramente: “L’uomo è l’immagine dei suoi pensieri”.
Nessuno di noi aveva visto questo film. Straziante. Vabbè… già si sapeva prima di vederlo che sarebbe stato così. Ma straziante. Soprattutto in alcune frasi che ti lasciano senza fiato per la realtà terribile che descrivono (e di cui spero di riportare almeno il senso): «Io qui sto morendo da 15 anni», oppure «E nessuno fa niente». Sarà per questo che, tra gli occhi umidi e il fazzoletto al naso… mi viene un irresistibile (quanto irrealizzabile) istinto di abbracciare l’uomo che pronuncia queste frasi. L’uomo che lotta, l’uomo che rischia, l’uomo che non abbassa la testa. Forse per abbracciare, con lui, anche tutte quelle persone di cui lui si è fatto, e si fa quotidianamente, portavoce. Tutte quelle persone che non possono parlare, alzare la voce o che non vengono ascoltate. Tutte quelle persone che, come lui, da 15 anni stanno qui a morire.
Ecco, martedì andremo in gita nella “Terra dei Fuochi” (che si chiama così perché ogni giorno dalle 17.30/18 la Camorra brucia i rifiuti…). Con lui. Con Raffaele Del Giudice. E io, lo dico perché lo penso, respirerò a pieni polmoni. Farò mia la maggior quantità d’aria possibile per realizzare una ‘preghiera’ (infantile e stupida) che potrebbe suonare più o meno così: «Fammi essere, martedì, il grande gigante buono de “Il miglio verde” in modo che possa risucchiare e trattenere in me tutto quello che di nocivo c’è nell’aria». So che non ha senso questo mio desiderio, ma l’ho espresso seriamente e credendoci intensamente. Forse perché è ridicola questa distinzione tra chi sta lontano e vive e chi sta vicino e muore…
Vi farò sapere poi se, trovandomi davanti quest’uomo, riuscirò ad abbracciarlo davvero… per fargli capire, attraverso questo gesto, la vicinanza che ha creato tra noi, tra me e questi luoghi.

Martedì, 27 luglio 2010
Oggi è stato in assoluto il giorno più emozionante del campo. Oggi c’era il tour nelle terre della monnezza. Non a caso, tutti quanti nei nostri diari, stiamo parlando proprio di questo. A ripensarci mi vengono ancora le lacrime agli occhi. Ma penso che, a partire da oggi, saranno sempre vicine ogni volta che ripenserò a questa giornata. Oggi ci siamo trovati davanti Raffaele Del Giudice, direttore di Legambiente Campania.
Guidando verso l’appuntamento abbiamo parlato del film e, sapete?, non dormivano per niente gli altri. O per lo meno non tutti. Mentre io me ne stavo in terrazza a scrivere, qualcun altro si rigirava insonne e scosso nel proprio letto. Ci ha proprio stravolti ed è per questo che il mio racconto sarà scoordinato e disordinato…
Cosa ci spinge qui, in questi campi, invece di andare in vacanza con gli amici a bar e discoteche? Noi ragazzini del nord veniamo qui a vedere, a tentare di conoscere un po’ meglio queste situazioni, a cercare di capire cosa succede… perché? Ebbene… abbozzo una motivazione personale. Forse lo facciamo per condividere con voi che ci accogliete e con tutte le altre persone che subiscono queste situazioni il dolore, la sensazione di impotenza e l’indignazione derivanti da queste situazioni che voi e queste persone provate. Forse per dar credito ad una speranza infantile secondo cui un dolore condiviso è comunque meno pesante e pressante di uno tenuto sulle sole proprie spalle. Non lo so. Forse semplicemente per dirvi, lontani fisicamente, lassù nel nord… che col cuore vi siamo vicini. Che voi siete nei nostri cuori. E questo è il primo passo perché i vostri problemi diventino anche i nostri problemi. Che i problemi delle persone che abitano in Campania, in Sicilia o in Calabria diventino problemi anche delle persone (o almeno di alcune) che abitano in Veneto, Toscana e Piemonte. Noi, ora, sappiamo come stanno certe cose nella realtà dei fatti e della monnezza accatastata ai bordi delle strade di periferia. Noi ci siamo e ci saremo per supportarvi (che presunzione… scusatemi, intendo un supporto molto ingenuo ed emozionale) per raccontare e diffondere tutto quello che voi ci avete donato di voi.
Tante cose magari le intuivamo, anche se in modo probabilmente poco preciso. Ma leggere queste cose su alcuni giornali, in certi blog o ascoltarle in determinati programmi non vale comunque il confronto. Guardarle coi propri occhi, annusarle, toccarle, assaporarle… è ciò che dovrebbe fare chiunque per capire almeno in parte quello che accade veramente. Sbatterci contro direttamente, personalmente e senza l’ausilio di media(-zioni) è fondamentale per entrare almeno momentaneamente in questo inferno di diritti negati e abusi spregevoli.
Trovarsi faccia a faccia con un lago in cui gli sversamenti di rifiuti di qualsiasi genere hanno raggiunto un livello tale da rendere l’acqua immobile in alcune zone ti fa venire i brividi. L’immobilità dell’acqua, avete presente l’acqua?!, è impressionante. Agghiacciante. È agghiacciante non sapere a chi appartenga il lago (comune, provincia, regione, tribunale delle acque) e quindi il conseguente scaricabarile sulle competenze per la depurazione. È agghiacciante sapere con certezza che la vegetazione circostante potrebbe sistemare naturalmente la situazione, se si impedisse in qualche modo ai camion di continuare a buttarci rifiuti… e invece nessuno fa niente. Nessuno mette nemmeno una recinzione intorno a questo lago, nessuno se ne occupa. O al massimo… danno una multa da 700 € a Legambiente perché non ha tutti i permessi perfettamente in ordine per la giornata di pulizia del lago…
Procedere a rilento lungo una strada dell’antistato, dove la camorra ha vinto e continua a vincere è agghiacciante (questo termine mi perseguita, ma sotto il sole caldo di oggi io ho avuto i brividi di freddo…). Le falde acquifere sono inquinate, le persone muoiono, si conoscono i dati e tutto rimane immobile. Come l’acqua del lago Patria.
Avevo detto che volevo respirare a pieni polmoni e invece, mentre ci viene spiegato il percorso che faremo e le zone che visiteremo, Raffaele ci dice che quando arriveremo in quel determinato punto, nell’angolo della discarica (di Vassallo), dovremo chiudere i finestrini e spegnere l’aria condizionata. Non sono ammesse mentine e gomme da masticare perché aprono i bronchi e ci farebbero respirare più a fondo: cosa da evitare in certi luoghi… Però, mentre noi passiamo lentamente in macchina seguendo queste precauzioni, altre persone procedono con i finestrini abbassati o in bicicletta…
È terribile ed inspiegabile a parole e allora… seguite il mio consiglio… ascoltatemi, per favore, ascoltatemi. Venite qui. Venite qui. A Giuliano (NA). E parlate con queste persone. Parlate con Raffaele Del Giudice. Fidatevi di quello che vi racconta. Tutto ciò che dirà lo potrete riscontrare immediato davanti ai vostri occhi. Nella sua voce sentirete la forza di chi non si arrende, la rabbia di chi è costretto a subire certe cose ma non abbassa la testa. L’indignazione per quello che sentirete vi porterà alle lacrime, come è successo oggi con noi. Venite. Venite qui, vi prego. Guardate. Ascoltate. E parlatene. Urlatelo ai quattro venti o sussurratelo ai vostri vicini, agli amici, ai parenti. Ma raccontatelo o almeno sappiatelo. Che qui ci sono persone che resistono. Che queste persone ci sono, esistono e non ci stanno. Che non si chiudono. Che nonostante tutto continuano nella loro lotta quotidiana. Credeteci che qui le persone non accettano la camorra, ma sono costrette a subirla… perché lo Stato è assente. Perché lo Stato non fa niente e i cittadini si sentono cittadini di serie B, rispetto a noi che abbiamo la semplice fortuna di essere nati altrove…
Il nostro tour finisce troppo in fretta. Forse ci separiamo velocemente per non lasciare che queste emozioni potenti che all’improvviso ci uniscono esplodano. Lui corre via e io non colgo l’occasione. Tutto finisce sempre nell’universo infinito delle possibilità mancate. Caro Raffaele, non ho potuto abbracciati. E non sono l’unica che avrebbe voluto farlo. Nemmeno stringerti la mano. Ma ho potuto guardare i tuoi occhi mentre, vedendo noi così emozionate dai tuoi racconti, si arrossavano commossi. Le mie lacrime significano che tu, quelle persone e queste situazioni sarete per sempre con me. E quel che potrò farò affinché entriate anche nei cuori e nelle menti delle persone che incontrerò nella mia vita.

Maddalena.

Per approfondire un po’:



Altri diari:

Libera.it Diario1
Libera.it Diario2

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